Chino sulla sua scrivania con dati elettorali di ogni comune dal 1946 ad oggi, calcolatrice, righello, cartina geografica dell’Italia, penna e sondaggi, l’impassibile ministro degli interni Minnitti – che fu Comunista da giovane, dalemiano in età matura e minnittiano nell’era Gentiloni -, nella solitudine del Viminale, si appresta a ridisegnare i collegi del Rosatellum bis.
Fuori dalla stanza, addetti ai lavori che sanno districarsi fra uninominale, plurinominale, resti e seggi, faranno la fila per 30 giorni per cucirsi un collegio su misura: inserire o togliere porzioni di territorio in un determinato collegio può essere fondamentale per staccare il biglietto per Montecitorio.
Gli studiosi di Scienze Politiche ben conoscono il Gerrymandering, ovvero l’abilità del politico statunitense Elbridge Gerry da cui prende il nome la spregiudicata pratica di costruirsi collegi su misura per garantirsi l’elezione. Una questione non di poco conto, soprattutto nel periodo attuale dove è evidente la spaccatura fra il voto delle aree metropolitane e quello delle rurali.
Il Parlamento ha delegato al Viminale la possibilità di tracciare i confini dei collegi uninominali con uno scostamento sino al 20 %; tradotto, alla Camera ci potranno essere collegi uninominali da 300mila abitanti e collegi da 210mila abitanti. In pratica Minnitti potrà togliere o mettere in un determinato collegio una città grande due volte Lecco. Non una questione di poco conto. In Inghilterra lo scostamento fra i collegi non può superare il 5 %, ma, si sa, gli anglosassoni hanno un concetto diverso di democrazia.
La ‘revisione’ di Minniti preoccupa gli stati maggiori del centrodestra che cominciano a sudare freddo e temono che l’auspicato cappotto nelle regioni del Nord, dato per certo sino a qualche giorno fa, non sia più così scontato.