Storie Diverse.Padre Peo, il prete dei giovani,tra Lecco ed Hong Kong

Da Villa Grugnana – Calco – alla lontana Hong Kong è la storia di un giovane padre molto conosciuto nel lecchese che, raggiunto per un’intervista da padre Giorgio Licini,

08 Ottobre 2016
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Da Villa Grugnana – Calco – alla lontana Hong Kong è la storia di un giovane padre molto conosciuto nel lecchese che, raggiunto per un’intervista da padre Giorgio Licini, ha voluto condividere la propri storia di fede e di vita. “La posta elettronica è strumento sufficiente per mantenere vive la relazione, ma la posta tradizionale è ancora meglio”, “un giovane ha bisogno di decidere e imparare qualcosa per la vita” e ancora “ai ragazzi servono spazi e profondità”: queste alcune massime del pensiero di Padre Peo.

L’intervista ha i toni colloquiali di un caffè o di una tazza di tè tra amici e colpisce la semplicità e l’immediatezza con cui il giovane padre del PIME partendo dall’esperienza religiosa, ma anche di confronto e stimolo, di Villa Grugnana arriva a delineare i tratti di una società e di una cultura così diversa dalla nostra ma i cui giovani aspirano come da noi ad essere “genuini e spontanei” .

L’intervista integrale ( dal sito pimegiovani.it)

http://www.pimegiovani.it/index.php?option=com_content&view=article&id=322&catid=37&Itemid=631

Padre Peo, come è stato il passaggio dall’Italia ad Hong Kong?

Sono arrivato ad Hong Kong dopo cinque anni di animazione missionaria in Italia a Villa Grugana, che sono stati molto belli per vari motivi. Anzitutto una comunità Pime piccola e molto unita con persone di varia età, anche molto anziani, ma molto accoglienti e disponibili. Poi con gli altri animatori abbiamo deciso di rendere Villa Grugana il punto di riferimento per i cammini Pime per i giovani in Lombardia. Ho detto ai ragazzi: se ci siete io sono qui; altrimenti posso partire ed andare in missione. In quel modo diverse decine di ragazzi sapevano che potevano venire, parlare, riflettere, scambiarsi delle idee, persino fermarsi a studiare per gli esami… Si passavano insieme le giornate condividendo le cose quotidiane: un po’ di lavoro, preparazione dei pasti, preghiera…

Qual era il tuo obiettivo nei confronti giovani?

L’obiettivo ultimo era di aiutarli ad incontrare la persona di Gesù, fare un’esperienza personale di fede. Erano poco più giovani di me, attorno ai 20-25 anni. Hanno aiutato anche me ad imparare a fare il prete, a muovere i primi passi nel ministero, i primi colloqui, le confessioni, spiegare la Parola di Dio, celebrare bene l’Eucaristia… Ho visto che fare il prete è una cosa bella, che ti dà felicità. In un certo senso forse è meglio e più facile questo tipo di esperienza nel proprio paese e nella propria lingua che subito in missione con le difficoltà e le novità del cambiamento totale di ambiente e di cultura. Lo vedo anche qui ad Hong Kong. I ragazzi e i giovani hanno bisogno di spazi e di occasioni per dire la propria vita e andare un pochino in profondità, oltre i messaggini e Facebook, avere la possibilità di piangere o di ballare a seconda del momento che si attraversa. Qui ad Hong Kong percepisci che i ragazzi hanno bisogno di essere genuini e spontanei e non solo seguire la regola ed essere determinati in tutto dalle tradizioni culturali o dalla disciplina di una società così strutturata. Hanno bisogno di un po’ di coraggio, creatività e senso del rischio oltre il percorso selettivo e competitivo che il sistema scolastico impone. La sola preoccupazione di passare avanti agli altri ed essere migliori di loro non è propriamente evangelica.

 

Verso quale meta tentavi di guidare i giovani in Italia?

Oltre all’esperienza di fede personale, un giovane ha bisogno di decidere qualcosa per la vita una volta aver imparato almeno a stare in piedi da solo. Non è così facile. C’è molta titubanza a fare una scelta definitiva, qualunque essa sia, da cui poi è difficile o impossibile tornare indietro. Si tende allora a rimandare sempre le cose e non decidersi mai. Ai ragazzi invece ad un certo punto bisogna dire che il rischio fa parte del gioco e per imparare a nuotare bisogna tuffarsi: decidi qualcosa e poi si vedrà come affrontare le difficoltà del percorso! Ho visto molti ragazzi cambiare, attraverso il cammino Giovani e Missione di due anni, con un’esperienza in missione nell’estate di mezzo, come anche il cammino biblico e gli altri cammini che il Pime propone. Ne è valsa la pena.

 

E qui ad Hong Kong?

Anche qui cerco di non isolarmi. Mi sono trasferito appena possibile alla parrocchia di Tai Po. Qui non c’è l’anonimato del centro di Hong Kong. È come vivere in un paese. Esci in strada e trovi gente. Un bel gruppo di domestiche filippine vengono qui al sabato e alla domenica. Non ho alcun programma particolare con loro, eccetto le Messe in inglese. Ma è una grande occasione per ascoltare e conoscere la loro situazione e capire di più la realtà della città. Uno potrebbe dire che “distrarsi” con l’inglese rallenta l’apprendimento del cinese. Forse è vero. Ma verrà anche quello. La lingua è importante, ma non ne faccio un assoluto. Si parla anche con la propria vita. Quando anche la lingua diventasse perfetta ma le relazioni fossero carenti, la vita sarebbe molto più arida. Conservo anche molte relazioni coi giovani in Italia. Anche se la lontananza porta spesso a condividere solo le cose più significative. Non sono mai stato attaccato al cellulare ogni momento. Credo che la posta elettronica sia uno strumento più che sufficiente per tenere relazioni belle e condividere, per quanti hanno il desiderio di farlo. Per questo motivo non credo necessario che ci siano altri mezzi oltre a questa per comunicare e stare vicini. Ad ogni modo io preferisco la lettera per posta: dà un senso di vicinanza molto più grande e permette di condividere in modo più profondo.

 

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