È un uggioso sabato pomeriggio quando decido di andare ad incontrare un imprenditore e designer, poco più che trentenne, che circa un anno fa vende tutto ciò che ha costruito sino a quel momento, ripone i sogni nel cassetto e va alla scoperta del mondo. Dario Bergamini, CEO di Laboratorio Italiano Design (Via A. Maj 15/A), dopo un’esperienza al di là dell’Oceano, rientra in Italia e apre uno Studio di designer in centro a Bergamo.
Educato, faccia pulita, non teme nulla e non si pone limiti; ma non mi faccio ingannare perché dietro quello sguardo si nasconde una persona che “ha fame”, schietta, che non si fa incantare da complimenti e moine. Il ragazzo sa il fatto suo, non usa mezzi termini; si aspetta delle domande, ma quando lo informo su come intendo procedere, educatamente mi interrompe e inizia a narrare la sua storia, come un fiume in piena.
Appaiono già le prime differenze tra Italia-Bergamo e Sydney, perché l’Australia non è ciò che ti aspetti, afferma.
Si sposta con bicicletta e mezzi pubblici, perché lì le cose funzionano. Ma emerge anche il fatto che i giovani italiani sono comodi, poco inclini a sacrificare i fine settimana per andare a lavorare nei diversi ristoranti della città per guadagnarsi da vivere, ma anche per conoscere. Sì perché gli amici sono i colleghi. Evidenzia il fatto che tutti in Australia si mettono realmente in gioco, facendo “sparire” il concetto di weekend. Peculiarità che lo caratterizza perché, pur non ammettendolo apertamente, è ciò che ha fatto.
Essere migrante non è vita facile: ti manca tutto, il sapore delle cose. Sì, puoi trovare i pomodori, la pasta, ma non hanno lo stesso gusto e poi costano 9$ al kg. Lì non c’è mammà che ti fa tutto, ti coccola. E poi ti manca quella sfera di conoscenze ramificata che è il tuo punto di riferimento.
Ma a Sydney vivi leggero, come un Hobo. Ed è una realtà tipica, un concentrato di tutto e di più.
Non risparmia critiche alla realtà attuale il Bergamini.
“Oggi tutto gira intorno al mondo anglosassone”, afferma. Ci è stato imposto di “sposare” questa cultura, ma si può realmente utilizzare questo termine? A Sydney si comunica mediante slang, mentre in Italia esiste una lingua fatta di grammatica lessico sintassi; che dire poi della musica, della pittura…
E ancora: il vero made in Italy non lo fa una semplice bandierina su un prodotto. L’Italia è così nel mondo per forza del migrante medio che va avanti ed indietro dal Bel Paese, contatta aziende, artigianato locali e lo porta all’estero”. “Ci è stato imposto di essere bio e green, si costruisce con l’unico scopo di non impattare – e si è disposti a sborsare cifre esorbitanti, ma non si ha la certezza che tutto stia in piedi – a differenza del passato che si costruiva per e con l’unico scopo di durare”.
Si potrebbe affermare che sia una visione troppo romantica, e in parte lo è, ma il Designer Bergamasco è uno che guarda il presente orientandosi verso il futuro; nonostante disegni ancora sul tecnigrafo perché solo così, dichiara, si ha percezione reale delle cose.
Continua sostenendo che le condizioni per creare esistono, manca solo il coraggio e la voglia di mettersi in gioco, non dando importanza alle invidie perché in qualsiasi caso ti scontrerai con i commenti della gente. Qualcuno potrebbe affermare che siano frasi banali, ma se ci si ferma un istante a riflettere, sono consigli concreti.
Ascoltandolo non può, per alcuni aspetti, non tornarmi alla mente la figura de Il Piccolo Principe.
La sua bramosia di scoprire e conoscere a tratti spaventa. Fine osservatore analizza tutto, ma viene quasi sempre catturato da un piccolo particolare che ai più sfugge. Non disdegna il nuovo e il moderno, ma adora la tradizione e il classicismo ed essere attorniato dal bello. Forse è proprio per questo che ha deciso di “ritornare dalla sua rosa” (Italia)?
Non nasconde che in alcuni momenti del soggiorno australiano, avrebbe desiderato abbandonare tutto e rientrare in Patria ma, come gli hanno insegnato, se ci prende un impegno bisogna portarlo a termine.
Traspare la determinazione, oltre a un velo di presunzione, del giovane designer, che giunge al culmine con l’apertura “dell’azienda della maturità” – come la definisce. Scelta ardua e coraggiosa in momento in cui milioni di ragazzi sono più propensi a cercare un futuro fuori dai confini nazionali. Ma l’Italia è il luogo dei grandi maestri e non abbiamo nulla da imparare. E poi vivo nel Paese più bello del mondo, dice. Ognuno ha il proprio posto e modo di vivere, basta solo avere il coraggio.
Il tempo a mia disposizione sta giungendo al termine, ma riesco ancora a porgli un paio di domande:
Quando pensa a quel che ha creato, come lo definirebbe?
“Un luogo di incontro ma di idee oltre a quel che si vede…”.
Come immagina il suo futuro?
“Appena finirò qui, girerò a testa alta, orgoglioso di ciò che ho fatto, trascorrendo il tempo a disegnare e a godere del Bello”.
Si sente di dare un consiglio?
“No, posso solo dire di cercare di capire dove si vuole andare, prima di costruire per durare”.
Prima di andarmene decido di dare un’occhiata in giro. Comprendo perfettamente il pensiero di Dario Bergamini. Nulla è lasciato al caso: si dà importanza alle forme, alla materia, a un design di alto livello. Un’eleganza discreta, raffinata, ma di gran effetto.
M.O.